Le turbine idrauliche sono solitamente macchinari imponenti. Infatti, per generare delle potenze relativamente modeste (nell’ordine di qualche centinaio di kW) con salti inferiori a 3 m, la portata della turbina può superare i 10 m3/s. Ne consegue che, ai fini di realizzare le opere di adduzione, si deve ricorrere a grandi strutture di ingegneria civile per raccogliere le portate.
Per rendere le macchine più competitive, i costruttori di turbine idrauliche hanno cercato da sempre di ottimizzare il loro prodotto aumentandone le prestazioni, in particolare attraverso una costante ricerca orientata alla diminuzione del diametro della girante. Tale diminuzione di diametro ha portato a strutture di adduzione e opera di presa di dimensioni tali per cui la loro implementazione economica sia impossible quando il salto è troppo basso.
L’idea alla base del concetto VLH va in senso opposto rispetto alla tendenza appena descritta cercando di diminuire il più possible le opere di adduzione e di presa aumentando la grandezza del diametro della girante della turbine e integrando questa in una struttura auto-portante che assicura tutte le funzioni di un’installazione convenzionale.